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    Antologia della critica    
    Presentazione mostra antologica, Hotel dei Cavalieri, Pisa 1972

Paolo Lapi si presenta a Pisa, dopo qualche anno dalla sua ultima personale, con un'antologica. 
Un'occasione di verifica, per il pubblico e la critica, del percorso sinora svolto per tappe singolari ed autonome, benché intimamente collegate nell'onnipresente sensibilità dell'artista.
Per chi non abbia familiarità col pittore, con quel suo modo brusco ed anticonformista di aggredire l'interlocutore; per chi non sappia ravvedere nei quadri quel loro intrinseco piglio polemico, ed insieme quella caustica e diffusamente risentita denuncia in essi sottesa; per chi non si disponga con animo sgombro da pregiudizi di parte e schematizzazioni scolastiche; per chi infine deroghi all'opera d'arte una limitatrice funzione intendendola quale strumento distensivo e serenante, quasi valvola di sfogo dei veleni stressanti legati alla civiltà tecnologica; per i benpensanti i qualunquisti i nichilisti gli scettici; per gli indifferenti gli "arrivati" i pedanti gli esteti; per l'umanità paga della propria "posizione" nel mondo; per l'umanità "assente": non ci fa l'animo di consigliare una visita all'antologica di Lapi. Ma per gli "altri" diremo d'una severità d'impegno perseguita ostinatamente con forza istintiva, senza cedimenti o concessioni, senza scadimenti espressivi a livelli linguistici volgarmente recepibili dalla coscienza benpensante. Ebbene l'ostinazione di ricerca, quel rinnovare linguaggi e simbologie; quel disotterrare mitologie arcaiche deposte ai limiti dell'inconscio; quel violentare fiori e figure per farli scoppiare nel colore rivelandone vitalità ed energie sotterranee (le sue accensioni "fauve"); quelle struggenti simbologie di esseri ambigui, arcaici e futuribili, ancestrali e meccanici; quelle macchine ibride (di acciai, vegetali e membra umane) surrealisticamente gravitanti in spazi astratti; quegli ingranaggi striduli e provocanti; quel microcosmo onirico popolato di fantasmi inquietanti ed allusivi alla umana dissacrazione; quell'eterogeneo mosaico di Lapi racchiude un impulso unico: una fede ed un amore sofferti, scontati di persona e gridati a provocare, come per Dada, la quiescenza del pensiero.
Il mosaico sottende la presenza di Lapi artista nei problemi vitali dell'uomo. Presenza diuturna e operante anche là, e specialmente là, dove l'urgenza di dire offusca la limpidezza della parola, e la tramatura, serrata di termini critici, si smaglia in tanti episodi di cronaca pittorica pur significativi di altrettanti tentativi di possesso, e di restituzione, della tragica realtà quotidiana. Sembrerebbe non trovare posto l'idillio nella pittura di Lapi. Eppure tutta una dimensione di poesia e memoria si intravede, quasi sfuggita di mano - si direbbe - all'attenzione del pittore, a testimoniare l'esigenza incorreggibile di essere uomini, sempre: nel dolore e nei sogni. E si veda la grafica a questo proposito, laddove i personaggi arcaico-futuribili di Lapi si situano in posizioni ed ambienti più psichici che fisici, aperture di memoria e di sogno più che luoghi storici e geografici. Si veda la grafica che è misura precisa delle sue simpatie ed orientamenti culturali (da Grosz a Ernst, da Lam a Maccari, da Bacon a Plattner), delle sue scelte osservate ed assorbite, e superate poi nella personale espressione.

Nicola Micieli
   
   
Per informazioni inviate una email a info@paololapi.it