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    Antologia della critica    
    Presentazione al catalogo, personale alla galleria La Nuova Sfera, Milano 1980

Ho avuto un incontro con la pittura di Paolo Lapi qualche mese fa, nello studio pisano del pittore. In due stanze gremite di quadri e disegni e guazzi, dietro l'apparenza di una immediata percezione naturalistica, fecondissima di immagini molto piacevoli, Lapi fa sentire un desiderio di approfondire un mondo di natura che non è fatto semplicemente di cose viste, ma anche di una meditazione sulla loro presenza nei confronti dell'uomo che le guarda. Credo che la cosa più difficile per chi si trova davanti a un pittore di cui si accerta il talento autentico, sia proprio quella di capire lo spessore della sua qualità di pittore della natura, se tutto finisce nell'apparenza o se appaiono voci più profonde aldilà del viluppo delle forme colorate. Con Lapi, e l'amico Carlesi che me lo ha presentato, abbiamo avuto allora una lunga conversazione sui quadri per capire insieme quali potessero essere le remore di Lapi verso una dizione più approfondita della sua avventura pittorica. Perché di remore si tratta, alcune comuni a tutti - il "moderno" o "non moderno" -, altre particolari al pittore. Lapi ha una grande facilità di mano, lo sa e ciò lo dispone a una ricerca continua, con tutte le possibilità di eclettismo che il seguito delle sperimentazioni comporta. Sperimentazioni dico, anche se si tratta di operazione pittorica strettamente figurativa. Ma sperimentazione perché Lapi non è di quelli che si accontentano del piccolo risultato ottenuto, va oltre il significato letterale dei mazzi di fiori, delle siepi, dell'accostamento di oggetti sul tavolo. La sua ambizione non è il piccolo momento, e a distanza di mesi da quell'incontro ho trovato un gruppo di quadri, quelli qui esposti, che mi hanno dato la misura dell'elaborazione recente, fervida e culturalmente pregnante. Il gruppo importante è quello dei mazzi di fiori su fondi di colore perso, che ricordano quelli dei pittori seicenteschi, dove la scena sacra trova il rapporto dell'irreale, come a dire, allora, che la Madonna e i santi non sono soltanto opera di devozioni ma la confluenza della cosa vista con il metafisico, il passato e il futuro. Il futuro, che Lapi vede come una gran gioia di vivere; la vita sprizza da questi fasci colorati, nella prevalente tonalità di verde, come protesta contro le minacce d'oggigiorno, contro il pericolo di distruzione atomica e anche contro il disordine e la superficialità dell'attuale modo di vita.
I mazzi di fiori diventano in breve tempo siepi, cespugli sonori di echi colorati che risuonano contro i fondi verdi e spesso solenni. In questi quadri l'annotazione naturalistica perde completamente la superficie delle apparenze e acquista il peso del sentimento, una gravitazione verso il profondo dell'interrogativo sulla natura: perché questa bella superficie colorata? È la domanda della poesia, che nutre di sentimenti e di caratteri durevoli, sconfinanti nelle dimensioni della memoria e della costruzione intellettuale. È su questo motivo che Lapi abbandona le apparenze sensibili, quelle che lo conducono sul terreno arduo di una cultura alla Sutherland e che lo conducono, invece, a raggruppare gli oggetti in costruzioni che sembrano castelli medioevali e dove Lapi risente di una lontana cultura cézanniana, affrontata con grande amore per l'oggetto-pittura. In definitiva, questo giovane pittore pisano, così sensibile nella sua intelligente modestia al richiamo delle idee, al momento del dibattito culturale, si conclude nel cerchio poetico di un naturalismo che non si concede del tutto, che resta col sapore aspro della cosa non completamente consumata; perciò Paolo Lapi è un pittore che ha una prospettiva, che certo non si appaga delle belle tele che ora ha dipinto e che egli ci mostra in questa esposizione.

Raffaele De Grada

   
   
Per informazioni inviate una email a info@paololapi.it