home

Biografia | Bibliografia | Critica| Mostre | Opere back  
    Antologia della critica    
   

La rivoluzione poetica del colore

"Non cambia il mondo/
se non cambia il mio/
non cambia il mondo/
ma forse cambio il mio"
Marco Parente, "w il mondo"

Pochi pittori come Paolo Lapi sfuggono ad ogni catalogazione stilistica, tecnica e di contenuto. Fedele solo all'innocenza del proprio sguardo bambino sul mondo e sulle cose e alla propria indipendenza intellettuale, Paolo Lapi, nel corso della sua carriera artistica più che cinquantennale, ha attraversato mode e stili rimanendo sempre coerente con la sua ricerca artistica di una verità poetica scevra dalle influenze del momento storico in cui essa avveniva. Innamorato del colore, il vulcanico artista pisano ha impostato tutta la sua ricerca estetica e poetica su questo elemento che è il vero trait d'union, di tutte le fasi artistiche in cui essa si è sviluppata. Inizialmente applicata ad una pittura influenzata dal naturalismo di derivazione macchiaiola e dalla realtà della terra Toscana, altro elemento importante presente nella sua opera, la ricerca sul colore di Lapi ha progressivamente abbandonato i riferimenti diretti alla realtà fenomenica per allargare il suo spettro, a partire dai tumultuosi anni Sessanta del secolo scorso, ad una pittura in cui il dato realistico viene filtrato dalla propria interiorità, dalla memoria, dalla fantasia per assumere forme e significati più informali e fantastici. Così la sua iniziale stagione di contenuto naturalistico (figure umane, paesaggi, nature morte) si è evoluta in una fase in cui la ricerca sui colori puri (rossi, gialli, blu) ha prevalso su qualsiasi considerazione stringente di contenuto o di fedeltà alle convenzioni accademiche, in una pittura liberata, di coraggiosa rottura anche ideologica in tempi in cui le ideologie contrapposte dominavano producendo i danni morali e materiali che il nostro Paese ha conosciuto. Una produzione fluviale che, pur non abbandonando il dialogo con la natura e il paesaggio, inteso anche come visione e interpretazione dell'esistenza umana, si esprime in numerosi cicli pittorici costruiti a mosaico, a frammenti come collage, in cui la visione di un tutto è costituita da parti (quadri) che si integrano a vicenda in funzione dell'insieme. Una frenesia produttiva in cui l'urgenza espressiva del pittore si realizzata in un "work in progress" continuo, in una sperimentazione tecnica dinamica (disegni, tempere, tecniche miste, pitture ad olio e acrilici, installazioni, gouaches, ecc.), anche se lontana da ogni sterile intellettualismo. Perché il bello della pittura di Paolo Lapi è che, qualunque sia il soggetto rappresentato o la tecnica utilizzata, per essere apprezzata pienamente deve essere 'sentita', passare attraverso l'emozione di chi la osserva prima di essere interpretata dalla sua razionalità cosciente. Un po' come i disegni dei bambini che sfuggono sempre all'analisi critica a causa della loro apparente `leggerezza': quella leggerezza innocente e trasgressiva proprio perché estranea agli schemi usurati della razionalità adulta, più adatti a catalogare la realtà, sterilizzarla e ucciderla piuttosto che a favorirne il cambiamento. La stessa di cui parlava Italo Calvino nelle sue "Lezioni americane": "Nei, momenti in cui il regno dell'umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell'irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e verifica. Le immagini di leggerezza che io cerco non devono lasciarsi dissolvere come sogni dalla realtà del presente e del futuro...". Ciò che importa per Lapi è la ricerca di un contatto quasi in presa diretta con la realtà, una registrazione istantanea di sentimenti e pulsioni evidente in mostre come 'Le carte" del 2000 o in quelle più attuali influenzate dai racconti orali della cultura africana. Il che non deve però far pensare ad una ricerca pittorica approssimativa o ad un eclettismo superficiale. Perché l'uso del colore nella sua pittura non è mai finalizzato a solleticare un facile consenso da parte dei fruitori, ma è sempre accompagnato dall'idea, dal progetto. Anzi, si fa esso stesso progetto, sintetizzando in sé il superamento del classico dualismo tra sensazione (colore) e costruzione (forma plastica, volume, spazio). Cosicché, come è già stato affermato da numerosi critici, il colore nella pittura di Lapi diventa elemento strutturale della visione e il dipinto acquista totale autonomia dal soggetto letterario o di attualità svelandone peraltro punti di vista e suggestioni inedite. E il suo presunto eclettismo non deve far pensare ad uno sguardo disimpegnato, superficiale o ambiguo sulla realtà della sua epoca, perché invece costante è rimasto nel tempo il suo desiderio di intervenire nella realtà politica e sociale contemporanea, come dimostrano il ciclo dei "carri da guerra" degli anni Settanta, il bellissimo dipinto dedicato alla morte dell'anarchico Serantini, i quadri sulla guerra in Bosnia o quelli più recenti sulla guerra in Iraq. La sua fuga dagli schemi ideologici troppo strutturati come dalle esplicite implicazioni politiche o etico-religiose deve essere vista come fuga dalle trappole della razionalità adulta, come strenua difesa della capacità di scoperta del proprio sguardo poetico, violentemente 'innocente' come quello dei bambini, in cui cronaca quotidiana e tempo del mito e della storia, raffigurazione e trascendenza, suggestioni esterne e interiorità poetica si fondono in una pittura pastosa e densa, naturalistica e astratta allo stesso tempo, il cui tratto essenziale rimane il suo dinamismo interiore, la sua inquietudine stilistica, il suo non accontentarsi mai dei risultati raggiunti, il suo guardare sempre oltre ciò che è e che, in quanto tale, è già stato, per proiettarsi verso quello che sarà o potrebbe essere. Infatti la storia, la tradizione non sono mai concepite da Lapi come concezioni statiche ma sempre come movimento in divenire che non consente ripetizioni, come inesauribile anelito al cambiamento di una realtà umana violenta e mediocre. E il mondo non cambia se non cambia prima di tutto il nostro.

Marcello Cella
   
   
Per informazioni inviate una email a info@paololapi.it